Accanto ai fattori di rischio classici per la cardiopatia ischemica, acquista un ruolo sempre più importante l’esposizione allo stress di natura psicologica. Il termine stress deriva dal latino “strictus”, il cui significato letterale è “serrato”, “chiuso”, “compresso”. Il soggetto “stressato” è esposto ad un logorio psicologico progressivo fino alla rottura delle proprie difese psicofisiche. Cronicamente si instaurano condizioni di attivazione dell’organismo che permangano anche in assenza di eventi trigger e reazioni sproporzionate a stimoli di lieve entità.
Sebbene il legame tra malattia cardiovascolare e distress psicologico sia un dato ormai per molti versi assodato, l’esatta quantificazione dello “stress psicologico” è difficile da eseguire sia in relazione alle scale utilizzabili per quantificarlo sia per la risposta soggettiva che ogni soggetto mette in essere alle situazioni definibili come “trigger stressogeni”.
E’ ormai consolidato il fatto che stati emozionali come l’ansia, l’ostilità-aggressività o particolari ‘stili comportamentali’ possono essere considerati come potenti fattori di rischio coronarico, soprattutto se associati ad una particolare concentrazione di eventi stressanti esistenziali e lavorativi. Questi fattori, oltre che nella patogenesi della malattia, giocano un ruolo rilevante anche nella prognosi dei soggetti già affetti cardiopatia ischemica.
Lo stress che si verifica acutamente può avere anche effetti non immediati. E’ stato osservato un significativo aumento dell’incidenza di infarto miocardico e morte improvvisa in soggetti sottoposti ad eventi stressanti nei mesi precedenti. Il lutto, per esempio, aumenta la mortalità entro due anni dalla morte del coniuge. Il rischio di cardiopatia ischemica aumenta in coloro che da bambini hanno sofferto abusi fisici, sessuali o emotivi o sono stati trascurati dai genitori. Nello studio “Interheart”, condotto su circa 30 mila pazienti di 52 nazioni, è stato osservato che i soggetti con storia di Infarto miocardico avevano un’alta prevalenza di tutti i tipi di stress (lavorativi, familiari e economici). In particolare, sembrano giocare un ruolo più significativo lo stress cronico in ambito familiare e lavorativo: una vita coniugale spiacevole, litigi, responsabilità di caregiver di pazienti con demenza o malattie degenerative, un numero eccessivo di ore lavorative, una richiesta eccessiva in termini prestazionali in soggetti con basse possibilità di crescita lavorativa.
E’ noto che di fronte a un evento stressante o ad stimolo recepito come fonte di pericolo si verifica l’attivazione del sistema nervoso simpatico e dell’asse ipotalamo-ipofisi-ghiandole surrenaliche, con produzione di cortisolo, ormone che mette a disposizione energia e attiva meccanismi immunitari.
Il processo che induce il sistema in uno stato di “allarme” è caratterizzato da un’intensa produzione di adrenalina e una rapida accelerazione del ritmo cardiaco.
Il meccanismo mediante il quale lo stress può causare l’insorgenza di Ischemia miocardica (cioè la riduzione della quantità di sangue e ossigeno che arriva al cuore) può essere ricondotto principalmente all’attivazione del sistema nervoso simpatico, attraverso il rilascio di catecolamine (adrenalina e noradrenalina). Queste sostanze determinano una vasocostrizione, un aumento della pressione arteriosa, della frequenza e della gittata cardiaca. Le risposte cardiovascolari alle catecolamine sono in grado di indurre un repentino aumento della richiesta di ossigeno. Un secondo meccanismo è costituito dal verificarsi dello spasmo coronarico.
I meccanismi relativi alla produzione di adrenalina e di cortisolo da parte delle ghiandole surrenaliche possono provocare nel tempo ipertensione arteriosa, ispessimento delle pareti delle arterie e del ventricolo sinistro oltre che alterazioni del metabolismo dei lipidi (dislipidemie) e dei glucidi (diabete mellito).
Potenzialmente responsabile nella predisposizione alle malattie coronariche è la personalità di tipo D o “Distressed”, caratterizzata dalla combinazione di due dimensioni: affettività negativa (tendenza ad esprimere emozioni negative, tra cui umore depresso, ansia, rabbia) e inibizione sociale (tendenza ad evitare i potenziali pericoli presenti nelle interazioni sociali, come la disapprovazione ed il mancato riconoscimento da parte degli altri).
Nel 1990 è stata descritta per la prima volta la Sindrome di Takotsubo, caratterizzata da dolore toracico e anomalie elettrocardiografiche con caratteristiche spesso del tutto sovrapponibili a quelle di un infarto miocardico da occlusione coronarica. A differenza dell’Infarto miocardico da trombosi coronarica, in questo caso le coronarie presentano caratteristiche di normalità o comunque non si evidenzia una trombosi o una loro occlusione. Le anomalie cardiache evidenti alla presentazione si risolvono dopo alcune settimane ma si possono comunque verificare gravi complicanze acute come scompenso cardiaco, aritmie o morte. Questa sindrome si verifica con maggiore frequenza nel sesso femminile, dopo la menopausa, colpite da un intenso stress fisico o emotivo.